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Together 8 marzo. Conquiste e sfide future del lavoro in cooperativa in tema di parità di genere

La Commissione Pari Opportunità di Legacoop, in partnership con Culturmedia, ha promosso ed organizzato, in occasione della ricorrenza dell’8 marzo, una giornata di incontro per connettere i diversi modi di guardare e promuovere la parità di genere e sviluppare un pensiero comune più ampio, plurale, intersettoriale. L’evento si è tenuto il 7 marzo 2024 presso il Casale dei Cedrati a Villa Doria Pamphilj a Roma ed ha avuto come obiettivo generale, tramite il confronto con i diversi settori delle cooperative di Legacoop, indagare le conquiste e le possibili sfide future del lavoro in cooperativa in tema di parità di genere.

L’evento ha voluto valorizzare le competenze delle cooperatrici, le esperienze e buone pratiche della cooperazione aprendosi al dialogo con soggetti esterni del mondo della politica, associazioni e società civile in un incontro pensato per raccogliere spunti, interpretazioni e suggerimenti da parte dei diversi stakeholder, interrogandosi su come la politica, le associazioni e la società civile possano assumere un ruolo attivo nel concorrere a raggiungere la parità di genere sul lavoro in cooperativa a partire dalle conquiste sociali, economiche e politiche raggiunte sul lavoro dalle donne della cooperazione e delle cooperative.

Welcome a cura di Casale dei Cedrati

Prende la parola Giovanna Barni, Presidente di Culturmedia, dando il benvenuto a tutti i presenti e per raccontare, prima dell’avvio dei lavori, la storia del Casale dei Cedrati, location dell’incontro, situato all’interno del parco della Villa Doria Pamphilj. Il Casale vuole essere uno spazio culturale e di ritrovo aperto nel 2023, dopo lunghe vicissitudini (giudiziarie, burocratiche e politiche) che ne avevano portato all’apertura ed alla successiva chiusura per ben 2 volte, cercando di sottrarlo al degrado pur essendo all’interno di uno dei più grandi parchi storici delle Ville di Roma.

L’intervento della cooperazione in tal senso è stato risolutivo: grazie alla creazione del consorzio tra 2 cooperative culturali Casale dei Cedrati Soc. Cons A R.L. ed al rapporto di collaborazione con le numerosissime associazioni del XII Municipio di Roma, la riapertura del Casale si è dimostrato un raro caso con conclusione positiva di rivitalizzazione ed uso di un bene pubblico per l’interesse della comunità a conferma che grazie alla caparbietà ed alla capacità delle donne è possibile fronteggiare e superare le difficoltà e gli ostacoli che comporta la richiesta di uso di beni pubblici. Si tratta di una storia di donne, che parte nel 2013 in occasione della prima gara del Municipio, in quanto donne sono le socie delle cooperative e donne le referenti del Municipio. La storia del Casale è l’esempio del ruolo positivo della cooperazione nell’aiutare le nuove generazioni a superare gli ostacoli ed a concretizzare idee di sviluppo.

Prende la parola Lori Adragna residente del quartiere e curatrice degli allestimenti del Casale per raccontare la genesi della progettualità che ha portato alla rinascita del Casale dei Cedrati. Nel 2012, con un gruppo di 4 amiche, cominciarono a fantasticare sull’idea di far diventare un “posto” del quartiere in un luogo di aggregazione culturale e di socialità aperto a tutte le fasce d’età. Recuperare la bellezza attraverso un’azione partecipata: un progetto di valorizzazione per utilizzare pubblicamente gli spazi del Casale e attivarvi una rete di competenze, energie, risorse e associazioni che nel loro insieme potessero agire da moltiplicatori di culture, relazioni, scambio e condivisione. Fu avviata quindi una ricerca (sia a livello nazionale che internazionale) di esperienze che potessero essere similari, ovvero azioni di recupero/rivitalizzazione di luoghi pubblici a fini culturali. Ma se all’estero le esperienze di successo erano notevoli, in Italia ci si è imbattuti in molte esperienze con luoghi abbandonati o restaurati e mai aperti al pubblico, decidendo quindi di sviluppare l’idea progettuale e cercando possibili bandi di finanziamento.

Nel 2015, l’incontro fortunato con Giovanna Barni, residente nel quartiere, che tramite Coopculture le supporta concretamente nel consolidamento della loro idea progettuale individuando il luogo dove attuare l’iniziativa, ognuna nel rispetto delle proprie competenze in relazione al know how professionale ed alle esperienze di vita. Il Casale nasce quindi con una spesa minima e la specifica finalità di essere un luogo aperto a tutti, il più contemporaneo possibile.

Interviene Silvia Miliozzi, Assessora alla Cultura del XII Municipio, che a partire dalla situazione di totale degrado ed abbandono del Casale racconta quanto l’iniziativa di recupero dimostri che non solo la cultura ma anche il mettersi insieme “ci salverà”. La positiva esperienza di recupero vuole essere la dimostrazione di come un gruppo di cittadine capaci e caparbie non si siano arrese al degrado ed all’ingiustizia di vedere un luogo pubblico non fruibile al pubblico e siano riuscite a creare un luogo di aggregazione all’interno del XII Municipio, da sempre caratterizzato da tanto verde e da tante piazze ma dalla carenza strutturale di luoghi dove ritrovarsi.

Il Casale dei Cedrati assume quindi una duplice valenza: da un lato quella di valorizzare e rendere fruibile rendendolo bello un luogo abbandonato; dall’altro quella di essere diventato un incubatore di culture sostenibili, che generano senso, di socialità positive e di idee e pensieri.

Annunciando l’inizio dei lavori, Giovanna Barni ringrazia Annalisa Casino, Presidente Commissione Pari Opportunità Legacoop, per l’organizzazione dell’evento e Culturmedia per la sua partnership.

Apertura dei lavori a cura dell’Ufficio di Presidenza della CPO di Legacoop

Porta i suoi saluti e gli auguri di buon lavoro Dora Iacobelli, Prima Presidente della Commissione Pari Opportunità Legacoop, ricordando di aver accompagnato nella prima parte della sua esistenza la CPO, che dal 2008 ha promosso e lavorato in molti progetti raggiungendo molti obiettivi significativi e ribadendo il suo auspicio che possa raggiungere ancora traguardi importanti.

Le relatrici Catiuscia Marini (Donne ed Europa: a cosa stanno guardando le politiche europee), Laura Gaspari (Giovani donne: a cosa ambiscono le giovani donne oggi nel mondo del lavoro, quali i bisogni, le aspettative) e Daniela Schirru (Donne e periferie: i bisogni delle donne del sud e delle periferie sociali) dell’Ufficio di Presidenza della CPO di Legacoop evidenziano quanto la parità di genere sia un tema di primaria importanza per lo sviluppo e l’inclusione sociale e più in generale per una crescita culturale economica e civile della società, che il mondo della cooperazione deve affrontare a più livelli, a partire dalla collaborazione con le Istituzioni Europee.

Istituzioni, che grazie al lavoro delle donne al loro interno, sono diventate un punto di riferimento non solo per tutti gli stati membri, ma anche a livello globale, per l’attenzione posta alla parità di genere, a partire dall’Art. 2 del Trattato di Roma del 1957 che sancisce i principi di uguaglianza e non discriminazione.

Attraverso i suoi diversi organi, le Istituzioni Europee si occupano da sempre di legislazione, politiche, diritti e tutela delle donne stanziando risorse e monitorando attraverso organismi specifici (ad es. Commissaria Europea per le Pari Opportunità) la realizzazione di azioni antidiscriminatorie, di tutela dei diritti delle donne e di strategie di supporto all’inclusività delle donne, come ad esempio la strategia sulla parità di genere 2025 e gli strumenti messi a disposizione dal NextGenerationEU per la promozione delle politiche sulla parità di genere.

In questo contesto legislativo, la cooperazione storicamente rappresenta un tassello importante per l’attenzione prestata alla valutazione dei talenti e delle competenze femminili, per il numero di socie e figure apicali femminili all’interno delle cooperative e per le esperienze e le buone pratiche adottate.

Rimane ancora molto da fare e sono molteplici le azioni che si possono attuare a supporto della parità di genere, a partire dai singoli individui. Ad esempio, promuovere l’adozione di un linguaggio inclusivo e che sia attento a declinare in modo corretto l’identità di genere e combattere e contrastare tutte le forme di violenza e di discriminazione sulle donne, non focalizzandosi esclusivamente sulla violenza maschile contro le donne.

Il movimento cooperativo deve quindi essere promotore di un cambiamento culturale che a partire dalle persone promuova un nuovo e diverso modello di potere e di gestione della leadership basato sulla non discriminazione delle donne, sulla promozione dei talenti e sulla valorizzazione delle competenze.

Altra sfida che il movimento cooperativo italiano deve fronteggiare riguarda la scarsa presenza delle donne nella sfera pubblica e soprattutto nelle posizioni apicali in ambito manageriale politico ed economico. I dati del Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum evidenziano infatti che in termini di divario di genere l’Italia si è collocata al 79esimo posto rispetto a 146 paesi analizzati, con una perdita di 16 posizioni rispetto alle rilevazioni 2022 e la situazione del sud Italia e delle periferie sociali è ancora peggiore. E’ questa forse una delle sfide principali della cooperazione: sostenere in questi contesti l’inserimento al lavoro delle donne, fornendo loro un maggior sostegno economico e offrendo più servizi di welfare territoriale e di conciliazione di vita e di lavoro per migliorare l’empowerment femminile e favorire una maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro (percentuale doppia di inattive rispetto al nord). A contrasto anche della denatalità che in un contesto caratterizzato da una povera offerta di servizi a supporto delle donne e della maternità evidenzia un tasso di natalità più basso.

Blocco 1  |  Together 8: In dialogo

Panel 1
“Gender mainstreaming: politiche, lavoro, abitare” a cura di Rossana Zaccaria, Presidente di Legacoop Abitanti e Andrea Laguardia, Direttore di Legacoop Produzione e Servizi

Come evidenziato dal Parlamentare Europeo Massimiliano Smeriglio obiettivo del lavoro delle Istituzioni europee è abbattere le differenze sociali tra uomini e donne per raggiungere la parità di genere, obiettivo già individuato dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite nel 1997.

Obiettivo portato avanti dal 2007 anche dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere che rileva come ci siano stati traguardi positivi e tendenze incoraggianti ma rimane ancora molto da fare a contrasto della disparità basti pensare alla sovra rappresentazione femminile in professioni con scarsa retribuzione ed alla sottorappresentazione femminile in ruoli con alta responsabilità decisionale. I traguardi positivi però sono stati molti: le norme sulla parità di trattamento, l’inserimento della dimensione di genere tutte le altre politiche europee, i provvedimenti specifici sulla parità di genere e l’autonomia di genere ma il più importante è l’aver inserito come obiettivo trasversale a tutti i programmi europei (es. Erasmus, Europa creativa) la valorizzazione e la parità, aspetti che hanno contribuito a modificare positivamente gli obiettivi e la progettazione su questi programmi.

A livello europeo l’adozione della Strategia per la parità di genere 2020-2025 ha permesso di individuare gli obiettivi di cambiamento da perseguire: porre fine alla violenza di genere; combattere gli stereotipi di genere; colmare il divario di genere nel mercato del lavoro; raggiungere la parità nella partecipazione ai diversi settori economici; far fronte al problema del divario retributivo e pensionistico fra uomini e donne; colmare il divario e conseguire l’equilibrio di genere nel processo decisionale e nella politica. La strategia persegue il duplice approccio dell’inserimento della dimensione di genere in tutte le politiche, combinato con interventi mirati, la cui attuazione si basa sul principio trasversale dell’intersettorialità. Seppur incentrata su azioni condotte all’interno dell’UE, la strategia è coerente con la politica estera dell’UE in materia di pari opportunità e di emancipazione femminile.

Tra i primi risultati della strategia, il 4 marzo 2021 la Commissione ha proposto misure vincolanti per la trasparenza retributiva. L’8 marzo 2022 la Commissione europea ha adottato una nuova proposta di direttiva a livello dell’UE per combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica. La proposta punta a introdurre norme minime mirate sui diritti di questo gruppo di vittime di reati e a configurare come reato le forme più gravi di violenza contro le donne e di violenza online.

Infine un traguardo fondamentale è la direttiva adottata il 22 novembre 2022 sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione, che intende migliorare l’equilibrio di genere nelle posizioni decisionali delle imprese nelle principali società quotate dell’UE.

Sui temi delle conquiste e delle sfide per il domani e sul ruolo dell’abitare rispetto all’emancipazione femminile interviene Luciana Castellina, Presidente Onoraria dell’ARCI, partendo dalla considerazione di quanto sia importante riconoscere e valorizzare la “cifra” femminile nei ruoli apicali tipicamente maschili, aspetto che in Italia è presente sin dagli anni ’60 ma poco raccontato all’epoca. Ad es. tornando sue alle battaglie sindacali quando nel ’63 fu arrestata in quanto sindacalista CGIL del settore edile la Federazione Sindacale Mondiale si meravigliò del fatto che ci fossero muratori donna e non fosse stata informata. Oggi invece nella filiera del sindacato edile il 40% è rappresentato da sindacaliste, che ricoprono anche ruoli dirigenziali, grazie alla digitalizzazione del lavoro.

E’ molto importante però riflettere sull’utilizzo e sul significato del termine parità che può essere molto ambiguo se utilizzato a significare che si è pari, ovvero uguali pur sapendo che in realtà uomini e donne sono diversi e se l’utilizzo del termine pari per le donne vuol significare adeguarsi alla società così com’è essendo felici di essere come i maschi, il conformarsi a questa idea non può essere un obiettivo. In termini culturali da secoli alle donne è stato insegnato a vergognarsi di essere donne, che le donne sono un po’ meno e valgono meno dei maschi, che sono un po’ meno capaci degli uomini, anche se ad esempio le donne hanno coltivato la terra sempre più degli uomini, per cui appare fondamentale riflettere sull’uso del termine parità in una società nella quale tutta la normativa ed i diritti di cittadinanza sono disegnati e pensati sull’identità maschile. Se la società deve essere cambiata, in primis le donne devono essere libere di potersi scucire quanto è “stato cucito” loro addosso in termini di identità ufficiale maschile per fare in modo che poi la società stessa tenga conto della differenza delle donne, in quanto il genere neutro non esiste. Prendendo ad esempio il lavoro fatto dal femminismo e dall’UDI a partire dagli anni ’70, è importantissimo che le donne indaghino su loro stesse, si confrontino e sentano il bisogno di far capire qual è la loro reale identità.

In termini di riconoscimento dei diritti delle donne sul lavoro, in realtà già negli anni ’50 l’Italia, grazie al lavoro di Teresa Noce, aveva legiferato approvando la legge sulla tutela delle lavoratrici madri e presentando alla Camera un progetto di legge per l’Applicazione della parità di diritti e della parità di retribuzione per un pari lavoro in attuazione del dettato costituzionale sulla parità salariale.

In termini statistici però si evidenzia che solo il 30% delle donne manager sceglie di fare figli, quasi che il fare un figlio sia un ostacolo alla carriera. Le sfide da affrontare riguardano pertanto la capacità delle donne di fare gruppo, di farsi sentire e di essere promotrici di un cambiamento culturale della società a supporto di una parità di genere, che valorizzi le differenze e non le “appiattisca” verso un’identità neutra o esclusivamente maschile, attraverso la promulgazione di leggi ed eventualmente modificando la costituzione italiana.

Dal punto di vista dell’abitare, le donne si ritrovano a vivere e lavorare in città e appartamenti disegnati da uomini, ma sé importante che gli spazi dell’abitare siano sviluppati non solo in funzione del lavoro di cura, che viene sempre più attribuito alle donne, ma permettano alle cittadine di utilizzare tutta una serie di servizi a supporto del loro tempo di vita, servizi che non possono essere solo ed esclusivamente asili nido, che sempre più risultano strumento fondamentale per un reale supporto all’inserimento lavorativo delle donne.

Sul tema delle nuove forme di abitare intervengono Caterina Satta, sociologa dell’Università degli Studi di Cagliari ed a seguire l’architetta Michela Bassanelli del Politecnico di Milano.

A partire dal romanzo “Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf la dott.ssa Satta sottolinea quanto sia importante per le donne vivere e lavorare in spazi all’interno dei quali non si instauri una cultura patriarcale, in quanto l’emancipazione non può essere solo una questione economica ed il tema “spazi di vita e di lavoro” appare di primaria importanza, in un contesto sociale in cui prevalentemente alle donne si attribuisce e viene richiesto di occuparsi del lavoro domestico e di cura. E come già sottolineato da Luciana Castellina, gli spazi di vita (ad es. case ed appartamenti) sono strutturati in funzione di tali attività, contribuendo in tal modo a perpetrare la segregazione femminile ed a favorire l’iniqua partecipazione delle donne alla vita lavorativa e politica.

Si autoalimenta pertanto il ruolo sussidiario attribuito alle donne nel lavoro e nella società costringendole spesso a dover accettare contratti precari e condizioni di lavoro peggiori degli uomini.

L’adozione, dalla pandemia in poi, di smart working e lavoro da remoto non sembra aver contribuito efficacemente a risolvere i problemi di conciliazione di vita e di lavoro delle donne, anzi in alcune situazioni appare aver aumentato il rischio di segregazione femminile. Sociologicamente parlando è necessario mettere in campo azioni concrete, ad esempio tramite la negoziazione delegare ad altri i lavori di cura facendo in modo che la cura non sia più un carico esclusivamente femminile ma della collettività.

Sulle tematiche abitare e lavoro da remoto interviene l’architetto Bassanelli, partendo dall’esperienza che si sta sviluppando con il progetto ESCAPES, che in linea con le indicazioni del PNRR vuole portare un contributo scientifico sul tema del “lavoro remotizzato” dal punto di vista dell’architettura, della sociologia e del diritto del lavoro.

In termini di architettura, in particolare il progetto vuole:
-Definire una mappatura estesa delle nuove configurazioni spaziali degli ambienti dedicati allo svolgimento del lavoro da remoto (ufficio, casa, spazi in-between)
-Esaminare le ricadute generate dalla remotizzazione e conseguente riorganizzazione del lavoro nello spazio domestico e in altri spazi collaborativi nella città
-Progettare nuovi spazi condivisi e integrati alla scala del quartiere attraverso politiche temporali urbane, che rispondano al loro interno, o nella parte di città in cui si collocano, anche a esigenze di cura e di socialità, a partire da una verifica degli spazi dismessi e vacanti, pubblici e privati

I primi dati della ricerca condotta illustrano come oggi per le donne, soprattutto se utilizzano forme di smart working, necessitino di un diverso modo di abitare che possa favorire ed agevolare non tanto ed esclusivamente il lavoro di cura ma piuttosto le relazioni sociali e gli intrecci tra sfera intima (rapporti familiari, di vicinato, relazioni di prossimità, forme di mutuo-soccorso) e sfera lavorativa (relazioni con datori di lavoro, colleghi e materialità dello spazio aziendale) di fronte alla trasformazione delle coordinate spaziali, temporali e relazionali del lavoro a distanza.

Soprattutto nelle grandi città, gli appartamenti non sono più funzionali ed in linea con le esigenze e le richieste attuali e necessitano di nuovi processi di definizione degli spazi che non siano funzionali solo ai lavori di cura o di assistenza all’infanzia ma anche ad un modo diverso di conciliare vita e lavoro.

Come già riportato da altre relatrici oltre il 70% delle italiane si caricano dei lavori di cura e nelle grandi città sono sempre più le famiglie monogenitoriali (2.500.000 composte da sole madri e oltre 500.000 da soli padri) e le ricerche dimostrano quanto soprattutto questa tipologia di famiglia abbia necessità di vivere in spazi che siano funzionali alla gestione della vita quotidiana intesa sia come socialità che come attività di cura, immaginando quindi soluzioni virtuose che sostengano un ripensamento del rapporto tra lavoro, sfera intima e sfera sociale e mettano la cura al centro dello sviluppo di società più coese (ad es. esperienze avviate di cohousing e di recupero e restauro di spazi dismessi volti a soddisfare tali bisogni).

Rossana Zaccaria, Presidente di Legacoop Abitanti, evidenzia come il modello di famiglia tradizionale sia statisticamente superato, considerato che nelle grandi città 1 persona su 2 vive da sola e sia quindi necessario ripensare i modelli costruttivi e dell’abitare in funzione di questi nuovi modelli sociali. In termini urbanistici, le strutture esistenti si dimostrano troppo rigide e standardizzate rispetto alla fluidità ed alla rapidità con cui varia la dinamica sociale. In particolare, per favorire l’emancipazione femminile andrebbero ripensate le città come strutture urbanistiche sulla base di politiche abitative di gender mainstream sul modello di quanto già attuato dalal città di Vienna.

Il mondo della cooperazione in Italia ha già fatto molto in termini di abitare collaborativo e cooperativo, basti pensare a quanto già fatto in termini di Associazione dalle cooperative sociali e di intergenerazionalità. La sfida per Legacoop Abitanti è quindi quella di lavorare per provare ad introdurre la prospettiva di genere come chiave di lettura delle nuove forme di abitare non proporre progetti abitativi specificatamente dedicati alle donne.

Andrea Laguardia, Direttore di Legacoop Produzione e Servizi, sottolinea quanto i servizi prestati dalle cooperative in relazione al lavoro di cura sia fondamentale, ricordando ad esempio il valore attribuito alle cooperative di pulizie (i cui organici sono prevalentemente femminili) ai tempi della pandemia quando si è scoperto che il virus permaneva a lungo sulle superfici e le addette alle pulizie erano applaudite alla stregua del personale sanitario. Sfortunatamente oggi si assiste ad una continua revisione dei prezzi e riduzione degli investimenti da parte della P.A. a parziale disconoscimento di quanto fatto in epoca covid, a partire anche dal nuovo codice degli appalti.

In termini nazionali, il settore Produzione e Servizi ed in generale il sistema cooperativistico Legacoop vede un’alta rappresentatività di donne che ricoprono ruoli apicali ad ulteriore conferma che il modello cooperativo permette di accorciare il divario tra i generi e nei fatti è un ascensore sociale “facilitato”.

Panel 2
“Lavoro di cura, conciliazione, famiglie, retribuzioni” a cura di Eleonora Vanni, Presidente di Legacoopsociali e Cristian Maretti, Presidente di Legacoop Agroalimentare

Eleonora Vanni, Presidente di Legacoopsociali, evidenzia come il settore che rappresenta sembra “inchiodare” le donne ad un lavoro di cura, ma ragionando in termini di conciliazione è necessario che la conciliazione sia intesa come avere del tempo per sé stessi e per la famiglia non solo per il lavoro e la cura familiare.

Nell’ambito della cooperazione sociale il 75% delle lavoratrici è di sesso femminile e molto spesso la tipologia di lavoro svolto viene accostato all’attività di volontariato, ma in realtà la cooperazione sociale negli anni è riuscita a far evolvere e professionalizzare il lavoro di cura andando a valorizzare titoli di studio anche elevati ma considerati tipicamente fragili e spesso conseguiti da donne.

Contribuendo inoltre a meglio definire i percorsi di studio ed a fare in modo che anche in termini contrattuali ci fossero una definizione ed un riconoscimento economico maggiori rispetto al passato (ad es. esperienza progettualità “Lavoro che cura lavoro che include”). In termini associativi è stato grande il contributo apportato al rinnovo del CCNL in particolare per la parte economica che risultava scaduta da 5 anni.

Il settore della cooperazione sociale (un settore che è inclusivo per definizione), nel quale risulta occupata una percentuale altissima di donne, inoltre eroga servizi che creano quelle condizioni di contesto che possono “liberare” le donne dal carico della cura familiare per lavorare o per fare quello che più piace, ma il tema principale riguarda non solo il creare le condizioni favorevoli per l’emancipazione delle donne attraverso il lavoro, quanto piuttosto il creare le condizioni culturali e di contesto per cui si dia valore al lavoro nel settore sociale soprattutto dal punto di vista della retribuzione. Dando quindi valore al ruolo ricoperto ma prevedendo un giusto riconoscimento economico a quel ruolo, in quanto storicamente il lavoro delle donne è sempre stato un po’ sussidiario, basti ad esempio pensare alle insegnanti che sono sempre state considerate lavoratrici che svolgevano quel ruolo perché erano riuscite a prendere una laurea e lo sbocco immediato era quello.

Il riconoscimento economico ed il lavoro fatto per il rinnovo del CCNL di categoria rappresentano quindi non una semplice rivendicazione ma una battaglia culturale a supporto della valorizzazione della tipologia di lavoro a livello sociale: quando si parla di cooperazione sociale non si può parlare solo in termini di impresa quanto piuttosto di promozione di persone e comunità.

Interviene Rossana Dettori, Presidente della Commissione Pari Opportunità del CNEL, che sottolinea quanto il rinnovo dei CCNL rappresenti una battaglia di civiltà e che oggi il CNEL si sta strutturando in risposta al Governo (basti pensare alla discussione sul salario minimo) cercando comunque di rimanere autonoma rispetto al tema della parità di genere e delle pari opportunità.

Promuovendo nonostante tutto un lavoro collettivo e di concertazione con le parti sociali, le parti datoriali ed i cosiddetti corpi intermedi provando a ragionare e a proporre norme che portino avanti la parità applicando banalmente l’articolo 37 della Costituzione che cita testualmente che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.”

In termini operativi il CNEL può contribuire molto al raggiungimento della parità:
-Riordinando i 1.054 CCNL attualmente esistenti che ad esempio creano situazioni nelle quali un datore di lavoro possa trovarsi ad individuare CCNL per la medesima tipologia di lavoro e mansioni che prevedano però minor retribuzione e quindi un costo del lavoro più basso a discapito dei lavoratori. Aspetti che pesano molto in termini di competitività e che si riflettono molto sulla competitività della cooperazione. Servirebbero quindi una legge sulla rappresentanza sindacale anche dei datori di lavoro perché diversamente ognuno si potrebbe fare il suo sindacato che firma il CCNL più vantaggioso e bisognerebbe inoltre suggerire al Parlamento di costruire norme che penalizzino quelle strutture soprattutto pubbliche che “vanno” con la minor offerta, che inevitabilmente comporta un abbasso del costo del lavoro a discapito dei lavoratori. Esempio classico quanto avviene nelle imprese di pulizia quando la ditta che subentra abbassa il costo del lavoro per far risparmiare all’appaltante ad es. il 10% rispetto al precedente appalto
-Estendere alle donne vittime di violenza la NASPI oltre al reddito di libertà: spesso, infatti, le donne che vogliono uscire dalla situazione di violenza sono costrette a licenziarsi perché devono cambiare città per mettere in sicurezza la propria vita e con le attuali norme se una persona si dimette non ha diritto alla NASPI
-Riorganizzare il lavoro per mettere in sicurezza le persone e fare in modo che ad esempio il medico donna che termina alle 22 il proprio turno abbia tutti i servizi per poter rientrare a casa in piena sicurezza
-Creare condizioni e strumenti per cui le donne siano libere di scegliere o meno la maternità

Cristian Maretti, Presidente di Legacoop Agroalimentare, ricorda come negli anni 80 le tabelle di computo per il calcolo del valore aziendale, il lavoro delle donne fosse inizialmente calcolato come 0,50 rispetto al lavoro maschile e successivamente allo 0,75. Attualmente la situazione è cambiata ed evidenzia come nel suo settore la presenza femminile sia pari al 30% e le donne che ricoprono ruoli apicali siano maggiormente presenti in quelle aziende agricole che hanno saputo diversificare la propria attività (ad es. agriturismo, fattorie didattiche) a conferma del buon lavoro svolto dall’Associazione rispetto alla missione di “ritaratura” di un settore che inizialmente produceva materia agricola che veniva stoccata e/o esportata. E’ inoltre un’ulteriore conferma della sensibilità e della vivacità femminile nel fare impresa. La rappresentanza femminile ai vertici delle cooperative del settore evidenzia come ci sia una netta dicotomia in termini di titoli di studio: molte imprenditrici agricole risultano poco scolarizzate ma altrettante risultano scolarizzate ad un alto livello, anche se con titoli che non fanno riferimento al settore specifico, quasi a dimostrare che il settore agricolo rappresenti una scelta/scoperta tardiva. Le analisi di settore confermano, in linea con quanto relazionato precedentemente, che anche nel comparto agricolo il numero di giornate lavorate dalle donne sono inferiori a quelle lavorate dagli uomini.

L’On. Chiara Gribaudo interviene riallacciandosi all’intervento di Eleonora Vanni e rafforzando il valore della scelta politica dell’Associazione di rinnovare i CCNL scaduti in quanto la contrattazione collettiva “non si rinnova da sola”, perché mai come in questo momento è necessario applicare e valorizzare l’Art. 39 della Costituzione e promulgare una legge sulla rappresentanza che rafforzi i “corpi sociali intermedi” che funzionano e consentono di affrontare la complessità degli scenari sociali, economici ed internazionali. Di altrettanta importanza è legiferare sul salario minimo che le analisi economiche dimostrano contribuirebbe a ridurre il gender pay gap, così come altrettanto importante è il tema dell’aumento dei salari sia relativamente ai lavori di cura sia rispetto al lavoro in generale a supporto/integrazione della valorizzazione del lavoro. Altra sfida da affrontare riguarda la proposta di legge attualmente in discussione alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati in cui l’orientamento maggioritario poi placato vorrebbe equiparare le donne vittime di violenza ai soggetti cui è riferibile la L. 68/99 per quanto riguarda l’inserimento al lavoro con evidenti rischi di vittimizzazione secondaria sul corpo delle donne che non aiuta sicuramente i percorsi di emancipazione. Perché è innegabile purtroppo che rispetto al tema della violenza si possano drammaticamente avere delle conseguenze permanenti che portino ad una disabilità ma non sempre avviene e comunque le donne vittime di violenza che non hanno riportato una disabilità permanente possono e devono liberarsi ed emanciparsi ed uscire da quella violenza fisica e psicologica attraverso il lavoro.

Al di la di promuovere modelli di leadership inclusiva a livello istituzionale è fondamentale legiferare e stanziare risorse a sostegno del lavoro delle donne, ma l’attuale Legge di Bilancio ha disatteso le attese ed i fondi non sono certo sufficienti. Alcuni possibili strumenti a sostegno del lavoro femminile possono essere il riconoscimento della maternità al 100% e della malattia in maniera universalistica, estendendo quindi questi diritti a tutte le donne, ad es. anche alle imprenditrici che attualmente non ne possono usufruire. Altri strumenti di tutela, applicati solo alle famiglie numerose dai 3 figli in su appaiono poco utili considerato che il numero medio di figli a livello nazionale è di 1,6 a famiglia.

Altro aspetto fondamentale a prendere in considerazione è avere riscontri in termini di dati oggettivi e quantitativi sullo stato di avanzamento ed applicazione della legge 162/2021 (Legge Gribaudo su pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo) perché solo attraverso dati concreti è possibile sviluppare politiche adeguate ed efficaci.

Panel 3
“Emancipazione, consapevolezza e cultura” a cura di Giovanna Barni, Presidente di Culturmedia e Carmela Favarulo, Settore Politiche Sociali ANCC – COOP

Introduce i lavori del panel Giovanna Barni, Presidente di Culturmedia, evidenziando che all’interno del Settore Culturmedia è forte la presenza delle donne sia nei CdA che nei ruoli chiave delle cooperative, portando un approccio femminile alla visione azeindale ed applicando stili di leadership femminile che fanno immaginare che la cooperazione possa essere la soluzione alternativa a tutti i divari, soprattutto in tema di orizzontalità ed autogestione.

A riguardo, Stefania Bruno, socia fondatrice della cooperativa En Kai Pan, racconta l’esperienza di una ricerca svolta sulle donne che lavorano in ambito teatrale attraverso la quale è emerso che in prospettiva multidisciplinare il modello cooperativo appare essere un modello intergenerazionale alternativo di organizzazione multiverticistica ma orizzontale e paritaria. L’esperienza della cooperativa in territori periferici inoltre ha dimostrato l’estrema importanza della funzione di valorizzazione sociale del teatro, quasi se il teatro fosse “casa” ed andasse a valorizzare il lavoro di cura (attoriale) delle donne.

Flavia Barca, esperta di economia della cultura e dei generi, presentando il testo “Mappa delle diseguaglianze di genere” vuole partire da una visione diversa, dal cambio epocale post pandemia per dare voce alle donne ed alle loro richieste di parità. Pensato come un decalogo il libro si è poi sviluppato come un testo che va ad affrontare le disuguaglianze di genere dal punto di vista occidentale (interviste e dati raccolti in Europa e Nord America) rispetto a 10 macro aree:

  1. Cultura
  2. Lavoro
  3. Stereotipi
  4. Poteri
  5. Reti (ad es. diverso significato attribuito alle amicizie da maschi e femmine. Amicizie femminili si contraddistinguono per profondità ed intensità, ma poi implodono)
  6. Cura
  7. Linguaggio
  8. Formazione
  9. Violenza
  10. Trasformazione digitale (appare tema chiave in quanto trascina nel nuovo mondo vecchi stereotipi)

Per ciascun tema viene sviluppato un ampio apparato di evidenze, dati, strategie e indicazioni di policy e nuove pratiche a supporto dell’abbattimento degli squilibri di genere. I settori culturali e creativi appaiono fondamentali per far emergere le diseguaglianze della nostra società e luoghi ideali per la sperimentazione di nuove pratiche di dialogo e relazione, di nuove concettualizzazioni del sé, di riconfigurazione dei diversi modi di essere donna ed essere uomo.

Prima di ragionare sul cambiamento collettivo è necessario ragionare su un cambiamento del se individuale, anche a livello organizzativo, essere capaci di approfondirsi e mettersi in discussione, a fronte di dati economici che attestano che in Italia l’80% delle grandi imprese vede ai vertici maschi con più di 75 anni di età.

Se si parla di empowerment femminile è necessario domandarsi che tipologia di potere si vuole ed uscire dalla logica del potere maschile: sicuramente il bilancio di genere è uno strumento utile anche in una logica di autoscienza e generativa.

Carmela Favarulo del Settore Politiche Sociali ANCC – COOP, presenta il lavoro ed il ruolo di Coop sul tema della parità attraverso le iniziative con soci, consumatori e fornitori per diffondere la consapevolezza sul tema. Consapevolezza che va ad impattare sulle conoscenze, sui consumi e porta ad un cambiamento culturale, che va oltre alle imprese, che devono comunque mettere in atto azioni concrete (ad es. formazione) a supporto della diffusione della cultura della parità.

In termini percentuali il 71,5% della forza lavoro è donna, un dato in crescita è rappresentato dalla percentuale di donne che ricoprono ruoli direttivi, pari al 34,8%, e tra i soci la componente femminile è pari al 58,2%.

Tra le iniziative messe in atto la collaborazione con il collettivo Onde Rosa per abbassare l’IVA sugli assorbenti che è passata prima al 10%, poi al 5% ma ora è stata riportata al 10% dall’attuale governo e che ha portato Coop a mettere sui propri scaffali assorbenti a marchio con IVA al 5% assorbendo l’aumento dell’Iva fino a fine maggio 2024 con l’obiettivo di non scaricarlo sulle consumatrici.

In collaborazione con alcune ONG, è stato avviato un progetto con i propri fornitori attraverso il quale 80 donne braccianti hanno avuto della formazione mirata a portarle a conoscenza di quali siano i servizi territoriali che le possano supportare ed a capire quali siano i loro diritti in quanto lavoratrici.

Diverse inoltre sono le iniziative che Coop ha avviato con il mondo scuola prima tra tutte il progetto Close The Gap per contrastare gli stereotipi e i pregiudizi che finiscono per influenzare la “costruzione” della nostra identità di uomini e donne

Valentina Picca Bianchi, Presidente del Comitato Impresa Donna del MIMIT, afferma la volontà del comitato che presiede di valorizzare tutti i diversi punti di vista aprendosi anche al confronto con tutti i “corpi intermedi”, lavorando in primis per abbattere le differenze e le distinzioni tra gli stessi generi, ad esempio estendendo la maternità anche alle imprenditrici che attualmente non possono usufruirne. Promuovendo anche una progettazione condivisa per l’accesso a progetti pilota, andandosi a focalizzare quindi su progetti innovativi per ottenere i risultati più efficaci possibile.

La Senatrice Valeria Fedeli, già Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ragiona in termini di superamento del Gender Gap attraverso la cultura, la conoscenza e la formazione andando ad intervenire sugli stereotipi di genere che si “annidano” nei percorsi formativi scolastici. In tali percorsi si indirizzano infatti le differenze che avranno le giovani donne nell’apprendimento successivo, nella visione che avranno del mondo e negli sbocchi lavorativi ed è pertanto necessario intervenire per fare in modo che le studentesse possano maturare consapevolezza di sé e libertà di scelta nei percorsi che decideranno di intraprendere indipendentemente dalla tipologia prescelta.

Sono quindi necessarie politiche di sistema a tutti i livelli per educare alle differenze e permettere alle donne di maturare consapevolezza su cosa significhi essere libere ovvero garantire pari condizioni nell’affrontare le scelte di vita.

Appare quindi di estrema rilevanza che l’educazione al rispetto ed alle differenze sia inserita in modo strutturale nei percorsi formativi anche universitari, e non sia trattata come un argomento a latere (ad es. proposta su insegnamento sicurezza a scuola). Basterebbe prendere ad esempio il lavoro fatto dai padri costituenti per la preparazione alla scrittura dell’Art. 3 della Costituzione. In un’ottica anche di prevenzione ed assenza di verticalismi.

Inoltre, per superare il Gender Gap è fondamentale utilizzare strumenti efficaci di valutazione d’impatto delle politiche di genere per poter implementare quelle azioni che si rilevano essere più efficaci. Ma è necessario fare in modo che si sviluppi una cultura di genere, non esclusivamente basata sulle norme, a contrasto della segregazione professionale delle donne e che valorizzi i modelli di leadership femminile che è più inclusiva.

In conclusione, evidenzia con nei settori cultura ed apprendimento l’86% degli occupati è rappresentata da donne ma pur essendo ambiti dove è necessaria una forte professionalità, in conseguenza degli stereotipi di genere viene percepito come un settore nel quale non c’è professionalità.

Blocco 2  |  Together: Sfide e conquiste future del lavoro al femminile

Panel a cura di Annalisa Casino, Presidente Commissione Pari Opportunità Legacoop e Mattia Granata, Presidente Area Studi Legacoop

Annalisa Casino, Presidente Commissione Pari Opportunità Legacoop, dopo aver ringraziato i responsabili dei settori Legacoop ed i relatori e le relatrici esterne, ha sottolineato l’importanza di uscire dagli schemi e parlare in modo trasversale, con un approccio plurale, multisettoriale, per costruire le politiche necessarie a valorizzare le donne, le loro competenze, professionalità e bilanciare le esigenze di vita e lavoro. La Presidente aggiunge che l’evento “Together 8 marzo. Conquiste e sfide future del lavoro in cooperativa in tema di parità di genere” è stato pensato come evento per connettere ed ascoltare mondi e settori diversi per creare azioni comuni capaci di colmare il gender gap.

Mattia Granata, Presidente Area Studi Legacoop, anticipa i primi dati del Report sulle Pari Opportunità svolto con IPSOS ed il primo dato che emerge è “chiaroscuro” in quanto il campione intervistato sul livello di parità raggiunto si “spacca” a metà, ovvero il 50% degli intervistati lo considera raggiunto, l’altro 50% lo considera ancora da raggiungere.

Tali percentuali complessive cambiano in relazione agli aspetti generazionali, segno di una percezione differente tra differenti generazioni, all’attenzione posta agli aspetti strutturali, in relazione alla percezione dell’importanza culturale del tema parità di genere ed in relazione al sesso, con una evidente differenza di percezione tra donne e uomini.

In relazione ai dati specifici relativi alle aderenti a Legacoop, la presenza femminile nei CdA è pari al 30% del totale, dati nettamente superiori a quelli di imprese non cooperative, a conferma che i processi interni di autoregolamentazione tipici del mondo cooperativo contribuiscono al contrasto alla segregazione lavorativa femminile.

Maria De Paola, Dirigente Area Politiche a Sostegno della Famiglia INPS Direzione Generale, illustra alcune sfide per il lavoro al femminile a partire dai dati elaborati da INPS nel rapporto sulla parità di genere. Il primo dato che emerge è che in 10 anno è cambiato veramente poco in termini di Gender Gap salariale, in quanto si è passati da una percentuale media complessiva del 12-13% al 10% delle ultime rilevazioni. Nella P.A. il livello è del 6% a parità di livello e mansione, ma la realtà è ben diversa perché generalmente le donne sono occupate in settori che pagano poco e sono pagate meno rispetto ai colleghi maschi.

L’utilizzo di impieghi part time per le donne è un dato in peggioramento, passato dal 40% della precedente rilevazione all’attuale 50%, peggioramento dovuto al fatto che ciò che conta a fine mese è lo stipendio che una persona si porta a casa, indipendentemente dal fatto che il part time sia un’esigenza a supporto della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Tema sul quale l’Italia ha molto da lavorare pensando ad es. al congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni per i padri lavoratori dipendenti che viene utilizzato solo dal 60% diche ne ha diritto.

A ciò si aggiunge il part time involontario femminile che è riconducibile ad uno scarso potere contrattuale delle donne.

Indubbiamente sono stati fatti enormi progressi in tema di occupazione femminile, ma molto rimane ancora da fare, e in linea con quanto già espresso dalla Senatrice Fedeli, bisognerebbe intervenire sull’orientamento e nella scelta degli ambiti di studio da parte delle giovani, tematiche che hanno un impatto enorme nei successivi sbocchi di inserimento lavorativo. Non è infatti corretto affermare genericamente che le donne devono fare tutto: le donne devono essere capaci di fare quello che possono fare.

In linea con queste considerazioni anche Annalisa Cicerchia, Economista della cultura ISTAT, che evidenzia quanto, in particolare per il lavoro di cura, la cooperazione abbia sperimentato la pratica di servizi generati a livello sociale per migliorare una situazione che in maniera crescente soprattutto nel sud Italia e nelle aree interne viene affidata alle donne.

Analisi ISTAT rilevano che a partire dai 6 anni alle bambine in viene tolta 1 ora di gioco al giorno per dedicarla al lavoro di cura ed in generale nei contesti dove esistono meno servizi a supporto delle famiglie, le bambine sono più esposte alla povertà educativa. In particolare, in Italia l’indice di deprivazione è elevatissimo nelle famiglie monogenitoriali con a capo una donna. Si evidenzia inoltre che anche per le anziane la situazione non è migliore in quanto pur occupandosi della gestione del lavoro di cura le anziane over 65 in buona salute sono una percentuale nettamente inferiore a quella degli uomini.

Tra le buone prassi a livello europeo e che hanno riguardato il settore culturale, viene citato il progetto Motherhood finalizzato ad allontanare la depressione post-partum con il canto corale.

Chiude i lavori Simone Gamberini, Presidente di Legacoop, che individua alcune iniziative che l’Associazione può mettere in atto a supporto della parità di genere: strutturare una strategia dell’Associazione per superare le disuguaglianze; adottare e sostenere la tensione verso la parità; incentivare ancora di più il confronto tra settori ed in modo trasversale tra tutte le aderenti per sostenere la riduzione delle disuguaglianze e l’inclusività.

Il programma dell’evento

 

Legacoop Pari Opportunità
contro la violenza di Genere