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Lazzarelle, la cooperativa che offre una seconda opportunità  alle detenute

Dopo aver sviluppato l’attività di torrefazione all’interno del carcere femminile di Pozzuoli, la realtà associativa ha inaugurato un bistrot nella Galleria Principe di Napoli che rappresenta un percorso di riscatto per le donne “ospiti” del penitenziario flegreo

Un progetto ambizioso, soprattutto oggi se si pensa che è stato messo in piedi in piena emergenza sanitaria subendo le varie battute di arresto dovute alle oscillazioni dei cambi di colore della regione, ma le ardimentose Lazzarelle non si danno per vinte e continuano a portare avanti quest’avventura, con l’obiettivo di diffondere la visione del carcere non come sistema punitivo ma come luogo di reinserimento sociale, diventando anche un punto di riferimento per la cultura e l’arte napoletana.

Storie di Caffè e di riscatto sociale

In questi 10 anni di attività (nel tempo si è aggiunta anche quella di catering e la produzione di tè e infusi) l’80 % delle detenute coinvolte in torrefazione e che, adesso, lavorano al bistrot non sono recidive. Molte di loro, prima di lavorare con la cooperativa, non avevano mai avuto un regolare contratto di lavoro.

“Con noi imparano un mestiere – raccontano Imma Carpiniello e Paola Pizzo due delle socie fondatrici di Lazzarelle – ma soprattutto acquisiscono coscienza dei loro diritti, delle loro possibilità e anche potenzialità essendo impegnate nella realizzazione di prodotti di qualità che dà loro soddisfazione, incidendo anche nel recuperare la loro autostima, facendole uscire dall’identità detenute una volta che vanno in carcere. Infatti, il fine non è il lavoro ma il recupero delle donne che lavorano con noi. L’alta percentuale di donne scontano pene detentive, principalmente, per reati patrimoniali, commessi per difficoltà economiche. Con noi intraprendono un percorso sia di formazione ma soprattutto di costruzione. Molte donne vengono da contesti familiari difficili e se avessero avuto altre strade davanti a loro, forse, le cose sarebbero state diverse”.

Sul sito di Lazzarelle c’è scritto che ogni prodotto “rappresenta una persona e una storia da raccontare”: dietro a ogni chicco prodotto, a ogni prodotto fatto o venduto alla bottega del bistrot c’è una donna. Sono tutte storie e opportunità di riscatto che adesso convergono al bistrot della Galleria Principe di Napoli. “Ognuna di loro ha una storia diversa ma identica allo stesso tempo. Per noi è sempre una sorpresa conoscerle. E’ sempre un nuovo inizio con ogni nuova detenuta: dietro tutto il processo della realizzazione del caffè in torrefazione fino alla tazzina del Bistrot c’è un po’ di loro, del loro passato e dei loro affetti. E’ necessario che questo esca fuori dalla prigione e arrivi fino al bistrot e che le ragazze abbiano contatti con i clienti che assaggiano il loro caffè avendo i loro feedback e che, se vorranno, raccontino le loro storie ai clienti del bistrot” spiega Paola Pizzo.

L’attività di empowerment femminile

Il cibo diventa strumento per un processo di empowerment di donne detenute ed ex detenute in cui Lazzarelle Bistrot diventa il punto centrale. Con non poche difficoltà hanno messo in piedi una realtà commerciale dallo spirito no-profit. Già questo basterebbe per descrivere la temerarietà di queste donne che stanno riuscendo a imporre un’idea di imprenditoria femminile che affonda le radici nel sociale. Fin dai primi mesi in cui è stata aperta la torrefazione alla Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli è stato importante far partecipare le ragazze alla produzione di un caffè di qualità, per farle sentire parte di un progetto lodevole.

Sforzi che sono stati riconosciuti: il loro caffè artigianale, fatto come vuole l’antica tradizione napoletana, si sta imponendo anche sul mercato europeo: “Fin da subito noi abbiamo scelto di fare un prodotto che avesse un contenuto sociale molto forte ma che al tempo stesso fosse anche buono perché è importante che le donne si identifichino in questi prodotti e che piacciano anche a loro – dice Paola – E’ fondamentale che una cooperativa sociale che lavora in carcere non si limiti soltanto a dare un’opportunità lavorativa ma che si impegni anche a produrre qualcosa che sia di qualità, apprezzato dai clienti, perché le ragazze devono vedere con i loro occhi le facce soddisfatte dei clienti che assaggiano il caffè fatto da loro”.

La cooperativa Lazzarelle non ha fondi pubblici ma si auto sostiene pagando gli stipendi delle ragazze che ci lavorano con la vendita del caffè artigianale realizzato da loro e con gli altri prodotti che vendono alla bottega del bistrot. All’interno del bistrot sono venduti prodotti gastronomici delle economie carcerarie realizzati anche da altri penitenziari italiani e molti dei quali sono patrocinati da Slow Food grazie alla qualità delle materie prime impiegate, provenienti prevalentemente da coltivazioni biologiche e dal circuito del commercio equo e solidale. Al bistrot ci sono anche i prodotti delle cooperative che lavorano sui beni confiscati alle mafie.

Le difficoltà in piena Pandemia

E’ innegabile che il Covid-19 abbia inciso sul progetto Lazzarelle tout court. L’emergenza sanitaria ha limitato parecchio il bistrot, subendo i problemi che la filiera dell’enogastronomia sta affrontando. Se il lavoro in torrefazione, pur vivendo di riflesso la crisi, sta continuando con lo stesso impegno di sempre, la sorte del bistrot è altalenante a causa delle brusche chiusure.

Noi resistiamo perché siamo abituate a lavorare in difficoltà. Abbiamo un grande spirito di resilienza. Però ci sono tante realtà simili alle nostre che non ce l’hanno fatta. Per quanto riguarda il bistrot stiamo vivendo tutte le difficoltà del comparto della ristorazione. La continua incertezza in cui siamo in bilico tra aperture e chiusure non ci consente di fare delle previsioni. In queste settimane in cui siamo stati zona Gialla abbiamo lavorato molto, ma ci sono anche dei periodi di totale lentezza” dichiara la Pizzo. Si segue il flusso degli eventi usando una sola parola d’ordine, resistere. Da quando ha inaugurato quest’estate Lazzarelle bistrot si è imbattuto nelle restrizioni delle zone suddivise in colori.

Nelle settimane in cui la Campania è stata in Zona Gialla il bistrot ha contato sul supporto delle persone che hanno iniziato a conoscere i progetti della cooperativa. Mentre durante i mesi in cui si è oscillati dalla Zona Arancione a quella Rossa il bistrot ha puntato sull’asporto e, in una primissima fase, ha aperto per la vendita del caffè e dei prodotti gastronomici usati anche nei piatti preparati dalla chef del bistrot Marcella Tagliaferri, socia volontaria della cooperativa che coordina anche il lavoro delle ragazze che desiderano approfondire la cucina.

Da lunedì 26 aprile la saracinesca si è rialzata e le donne di Lazzarelle Bistrot sono cariche ma in questi due mesi di chiusura al pubblico, le ragazze non sono state con le mani in mano: in attesa di riaprire si sono dedicate alle sperimentazioni nella preparazione di nuovi piatti e che, adesso che si è tornati in zona Gialla non vedono l’ora di proporre ai clienti che sono pronte ad accogliere fino alle ore 22.

FONTE

Legacoop Pari Opportunità
contro la violenza di Genere