di Ermanno Corsi
Ci mancava solo il pandemico Covid a rendere ancora più lacerante il problema della disoccupazione femminile in Italia, soprattutto nelle 8 regioni meridionali. Al Nord, quando tutto va male una donna su 3 non trova lavoro; al Sud quando tutto va per il meglio, solo una donna su 4 riesce a salvarsi e non sempre a salario pieno (è il dato peggiore in Europa). Persiste, a macchia di leopardo, un “divario di genere”, con radici profonde, dovuto a una persistente cultura sociale espressione di poco lusinghieri retaggi storici. Non si valuta ancora a sufficienza quanto la scarsa partecipazione delle donne, al mercato del lavoro, sia una delle cause maggiori della bassa crescita e non modernizzazione del Mezzogiorno. Per una drastica inversione di tendenza si confida, ora, nel Pnrr (il “Piano Draghi”) e in quei Ministeri obbligati, per legge, a destinare fino al 40 per cento delle proprie finanze allo sviluppo del Sud.
QUALCOSA SI MUOVE. Il primo Maggio 2022 ha fatto ricordare la decisione dell’Inps (Previdenza nazionale) di costituire un Fondo Speciale per l’impresa femminile: incentivi a tasso zero per nascita e sviluppo di attività imprenditoriali guidate da donne. Si auspica che Progetti innovativi – su industria, produzioni agricole, commercio e turismo – possano ridurre distanze e squilibri territoriali che perfino le “quote rosa” (leggi del 2011 e 2015)) non hanno nemmeno scalfito. Il risultato è che solo nella Pubblica Amministrazione e in settori dello Stato (Scuola, Magistratura, Diplomazia) la presenza femminile è riuscita ad equipararsi a quella maschile, se non a superarla. Ancora molto indietro si è, invece, nella produzione di quei beni che, nel settore privato, concorrono a far reddito e a sostenere la quotidianità delle famiglie.
UN’ECONOMIA IN ROSA. Tra Pozzuoli e Napoli una coraggiosa sfida di successo. Nella casa di pena puteolana corre l’anno 2010 quando un gruppo di donne si ribella all’idea che il tempo sia solo un deprimente, immobile blocco di ore: i giorni non passano mai, il passato non riesce ad andare indietro, il futuro una macchia oscura. Ci si riscuote. Si avverte che le albe e il sole sono un bene di tutti. Allora uno scatto di orgoglio e il lavoro come strumento di sfida. Si pensa alla torrefazione, al caffè che è bevanda, rito e culto (adesso candidato all’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità). Le più volenterose si associano e diventano “Le Lazzarelle” (un nome, dice Imma Carpinello presidente da 6 anni della Cooperativa, ”scelto dalle detenute stesse per ricordare quelle bambine un pò discole, ma piene di vivacità e desiderose di essere notate”).Da allora un bel tratto di strada nel ricordo di Simone de Beauvoir e Oriana Fallaci quando dicevano che “donne non si nasce, ma si diventa”.
LE MANAGER DI SE STESSE. Nell’anno di avvio non esistono “le quote rosa” che verranno dopo molti mesi. Le Lazzarelle provvedono a tutto da sole (sotto lo sguardo vigile di chi dirige la casa di pena, della Regione Campania, dei Comuni di Pozzuoli e Napoli). Passo decisivo il legame coi “piccoli produttori di caffè del sud del mondo”. I grani, in quantità crescente, arrivano dalla cooperativa Shadilly attiva nel commercio “equo e solidale”. Nella casa circondariale la torrefazione. Nei vari passaggi, un importante lavoro di assistenza viene assicurato da Paola Pizzo, esperta di Scienze Diplomatiche internazionali e vice presidente della Cooperativa: “Mi sono lasciata coinvolgere volentieri in questo programma di formazione e riscatto, di inserimento nel mondo del lavoro”. Lungo il percorso si sono solidalmente incontrate ben 62 donne più pronte, ora, a vivere il futuro.
GALLERIA PRINCIPE DI NAPOLI. Questo il punto di arrivo, tra piazza Dante e Museo archeologico, delle intraprendenti Lazzarelle. Il loro caffè-bistrot, dicono con fierezza, è spazio di appuntamenti culturali, incontri e socialità. I visitatori ascoltano ammirati. Apprezzano “il coraggio e la qualificante sfida” (così i rotariani del Napoli ovest con la presidente Marta Catuogno). La presenza delle audaci donne aiuta anche a scoprire che l’imponente Galleria, aperta nel 1873, è dedicata a un principe che aveva 14 anni ma che dal 1900, ucciso in un agguato il padre Umberto primo, divenne Vittorio Emanuele terzo, re d’Italia per 46 anni.