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La libertà in una fascia, così quattro imprenditrici fanno rinascere vecchi tessuti

3 dicembre 2021 A Palermo la cooperativa «Arance amare» produce accessori (come la striscia per capelli) nell’ottica del riuso. Parte del ricavato dei prodotti a marchio Coccadoro devoluta all’Associazione Parco dei figli di Libero Grassi

In senso orario dall’alto a sinistra: Anna Barba, Christine Hofmeister, Roberta De Grandi e Daniela Graziano In principio ci sono quattro donne in cammino. Poi ci sono il lockdown, la pandemia e i momenti difficili da cui a volte nascono le opportunità, come può esserlo persino una semplice fascia per capelli. Ma andiamo con ordine. Daniela Graziano e Anna Barba si sono occupate per 25 anni di salute mentale. Christine Hofmeister, austriaca di nascita e palermitana per scelta, è stata grafica nel quotidiano cittadino: «Fino alla crisi dell’editoria e al licenziamento all’alba del Covid». La quarta, Roberta De Grandi, architetta, designer, artigiana: «un lupo solitario» come si definisce. La più anziana 60 anni, la più giovane 53, alcune di loro impegnate a cogestire – ma ognuna con la propria attività – un bene confiscato nel centro di Palermo. All’improvviso, quel che sappiamo: il virus, la quarantena, il «tutti a casa».

«Quando hanno ricominciato a liberarci, ciò che avevamo vissuto si era consumato. Il lockdown – racconta adesso Roberta – aveva frantumato non solo le nostre attività lavorative, ma tutti i nostri riferimenti». E ora erano lì a chiedersi: che si fa? «Sono stata io – dice Daniela – a metterle insieme, a credere che un’altra vita era possibile». Un’estate di progetti, poi a ottobre tutte insieme dal notaio. È nata così Arance amare (la loro cooperativa), un nome tanto siciliano. Da lì Coccadoro, un nome tanto palermitano, il marchio che ha rilevato il laboratorio di Robi e che vuol produrre accessori «nell’ottica del riuso e del post-consumo». Infine Pensiero Libero, che poi sarebbe la fascia di cui sopra. «L’oggetto che ci ridà il senso di chi siamo e di chi siamo state: donne e siciliane, noi nel ’92 c’eravamo, eravamo giovani e lo portiamo sulla pelle».

Qui entra in scena la quinta cinquantenne, Alice Grassi con il fratello Davide. Cioè i figli di Libero Grassi, l’imprenditore ucciso proprio trent’anni fa dalla mafia per non aver voluto pagare il pizzo. Alice e Roberta amiche dai tempi dell’università, entrambe architette. Alice ha ancora il negozio di tessuti che fu della famiglia e un magazzino che si riempie di campionature spesso inutilizzabili, Davide invece due anni fa ha chiuso la Sigma, l’azienda del papà.

«Ne abbiamo acquistato le giacenze, tessuti destinati al macero, ma pregiatissimi: cashmere, lane pure con cui si producevano capi per grossi nomi del Nord». Piccole quantità ma varie. E poi l’ideuzza: questa fascia che si mette in testa in modi sempre diversi. C’è anche lo slogan: da Libero a Pensiero Libero, indossa la tua libertà. E l’ideuzza sta piacendo assai. Sì, perché parte del ricavato viene devoluta all’Associazione Parco Libero, creata da Alice e Davide per riqualificare un terreno strappato alle cosche anni fa.

«Il nostro modo di chiudere un cerchio» dicono le ragazze di Coccadoro. Economia circolare nel vero senso della parola. Più che un parco, il progetto di un parco che resiste dal 2009 in un rimpallo di responsabilità tra Comune e Regione per via di una bonifica non fatta e di lungaggini. «Era – racconta Alice – un’area demaniale sulla costa sud alla periferia estrema della città. Qui avevano scaricato i detriti del Sacco di Palermo, parliamo degli Anni 60, delle ville liberty rase al suolo per costruire palazzoni». Discarica simbolo del degrado e dell’arroganza mafiosa fino all’intitolazione a Libero Grassi: «Ho fiducia, da una grande bruttura nascerà qualcosa di bello affacciata sul mare: da una parte Monte Pellegrino dall’altra Capo Zafferano. Sogno un museo a cielo aperto». Ma serviranno dei soldi e qualcosina arriverà da quegli scampoli di tessuto.

FONTE

Legacoop Pari Opportunità
contro la violenza di Genere