- L’ultima Risoluzione di Bruxelles a tutela dell’indipendenza economica delle donne, trae spunto da una serie di indagini conoscitive sull’imprenditoria ed sul lavoro autonomo femminile, fra le quali ad esempio la pubblicazione di giugno 2020 dell’ Innovation Finance Advisory della Banca europea per gli investimenti, dal titolo “Finanziare le donne imprenditrici: come rafforzare la crescita”.
Gli studi esaminati dal Parlamento Europeo hanno messo in luce che le donne rappresentano “la fonte più preziosa e più ampia di potenziale imprenditoriale e di leadership inutilizzato in Europa”. Puntare sulle donne non è quindi più solo questione di difesa del “sesso debole”, ma di nasce dalla nuova consapevolezza politica ed istituzionale che le imprenditrici e le lavoratrici autonome sono il potenziale di crescita dell’intera economia europea. “L’emancipazione economica delle donne” si legge nell’introduzione della Risoluzione “dà impulso alla produttività e aumenta la diversificazione economica”, le donne hanno uno stile di gestione e di leadership diverso rispetto agli uomini e “la diversità di genere nelle equipe è vantaggiosa per la società e l’economia”, “sostenere le imprenditrici e le lavoratrici autonome rafforzerebbe anche la competitività dell’UE”. Persino la lotta alla povertà delle zone rurali del continente riceverebbe ulteriore impulso con l’incremento dell’imprenditoria e del lavoro autonomo femminile, che costituiscono le opportunità occupazionali più adatte in quei contesti territoriali.
Ad oggi le donne rappresentano solo il 34% dei lavoratori autonomi nell’Ue e il 30% degli imprenditori nelle start-up. Solo il 34% delle posizioni dirigenziali è ricoperto da donne e meno dell’8% degli amministratori delegati delle principali società è costituito da donne. Nel 2018, solo il 41% degli scienziati ed ingegneri in Ue erano donne, contro il 59% degli uomini, con un divario del 18%, da imputare in gran parte agli stereotipi, alla disapprovazione culturale e alle aspettative di genere riguardo alle scelte professionali. Attualmente il divario retributivo di genere si attesta al 14,1% con poche differenze rispetto all’ultimo decennio, e nel 24% dei casi questo gap è legato alla presenza delle donne in settori economici relativamente poco retribuiti come l’assistenza, la salute o l’istruzione.
La Risoluzione del Parlamento Europeo del 3 maggio 2022 passa in rassegna i principali ostacoli da rimuovere per favorire lo sviluppo dell’imprenditoria femminile. La prima battaglia è sempre sul fronte culturale. In questo ambito gli eurodeputati stimolano Commissione e il Consiglio a promuovere iniziative come quella di Women Tech EU (sulle start up femminili) o il programma Leadership delle Donne (per lo sviluppo di competenze imprenditoriali), o ancora, il premio europeo 2021 per le donne innovatrici e la Rete europea delle ambasciatrici per l’imprenditoria femminile, come esempi di esperienze finalizzate a favorire i risultati al femminile in tema di innovazione e creare reti europee di imprenditrici.
Per vincere gli ostacoli costituiti dalla complessità delle procedure burocratiche per l’avvio e la gestione di un’impresa, e dalla mancanza di formazione specifica e di sostegno finanziario, il Parlamento Europeo invita gli Stati Membri a sviluppare programmi pubblici e privati che prevedano tutoraggio, formazione, servizi di coaching e di consulenza professionale su questioni giuridiche e fiscali. Un dato preoccupante che emerge dalle ricerche esaminate dal Parlamento, riguarda infatti il “divario di alfabetizzazione finanziaria fra uomini e donne”. Basti pensare che nel periodo 2014-2018 solo il 34,5% delle donne nell’UE sembrava disporre delle competenze necessarie per avviare un’attività in proprio, e nel 2018 i gruppi di soci fondatori costituiti esclusivamente da uomini hanno ricevuto il 93% del capitale totale investito nelle imprese tecnologiche europee mentre solo il 32% dei finanziamenti in capitale di rischio è stato assegnato a società con almeno un dirigente femminile. Nonostante questo, osserva il Parlamento, le imprese guidate da donne nelle regioni dell’Europa centrale ed orientale superano del 96% in termini di produttività le imprese fondate da uomini, a dimostrazione del fatto che “le imprenditrici generano maggiori entrate nonostante ricevano un sostegno finanziario inferiore”.
Oltre alla mancanza di competenze, anche l’assenza di donne nei ruoli decisionali delle società di investimento in capitale di rischio, rappresenta una delle principali fonti del persistente deficit di finanziamento dell’impresa femminile. Gli studi rilevano che le donne invece che fare accesso al credito, ricorrono più spesso all’autofinanziamento con i risparmi personali o dei membri della propria famiglia. Le proposte del Parlamento vanno dunque nella direzione di sollecitare Stati membri e Commissione a facilitare l’accesso ai finanziamenti, incluse fonti alternative come le piattaforme di prestito partecipativo o i microcrediti. Gli Stati nazionali dovranno incoraggiare anche a livello locale l’utilizzo dei fondi strutturali europei a sostegno del lavoro autonomo femminile. La Commissione dovrebbe poi istituire una rete europea di investitori consapevoli della dimensione di genere, mettere a punto un piano d’azione per l’imprenditoria femminile quale parte dello Small Business Act e favorire gli sforzi dei fondi di investimento privati di integrare i criteri di genere nelle loro valutazioni di investimento.
Altro nodo importante è costituito dalle difficoltà che le donne incontrano nel conciliare vita professionale e familiare, soprattutto a causa della mancanza di infrastrutture di assistenza all’infanzia, sebbene molto spesso siano proprio i motivi familiari di cura di minori e anziani quelli che spingono le donne a preferire il lavoro autonomo al lavoro dipendente per la maggiore flessibilità degli orari. Il Parlamento invoca quindi uno sforzo da parte della Commissione e degli Stati Membri per favorire lo sviluppo di servizi sociali di buona qualità e a prezzi accessibili, per legiferare in tema di congedi, flessibilità dell’orario di lavoro, telelavoro, per sostenere la diffusione di strutture per l’infanzia e promuovere quadri sociali per gli anziani e le persone non autosufficienti, avendo cura di differenziare i servizi offerti in città da quelli pensati per le aree rurali e tenendo presente la differenza di esigenze specifiche che le donne presentano nelle diverse dimensioni territoriali. Sul punto Bruxelles sollecita infine gli Stati Membri ad attenersi agli obiettivi di Barcellona (sulla diffusione di asili nido, servizi e scuole per l’infanzia) e ad attuare la direttiva UE 2019/1158 sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare.