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Storia di Vanna, un mito dell’IVV

21 febbraio 2022 La signora Vanna Valli dopo una vita di lavoro alle Industrie Vetrarie Valdarnesi veniva chiamata “la Tedesca”. E lei, nata quando il Piano Marshall stava disegnando una nuova Europa, del soprannome ne fa sfoggio; sicuramente testimonia il rigore, l’efficienza e la devozione con cui ha interpretato la sua vita lavorativa.

Seppur sia fuori dal 2007 dalla stanza dei bottoni delle IVV, chi parla di lei oggi lo fa o con affetto, o con rispetto, o con timore. E che sia un soggetto di carattere bastano i primi minuti di intervista a capirlo: è chiaramente una donna attiva e attenta a dispetto dell’anagrafe. Pensionatasi con il massimo di anzianità all’IVV nel 2007, la Legacoop Toscana non la lasciò ai cacciatori di teste e, stimatissima per le sue capacità, presta da allora la sua consulenza a una cooperativa di produzione di cartone ondulato e scatole del Pistoiese mettendoci tutta se stessa.

La prima immagine che ci dà è decisamente inusuale per i giorni nostri: non ancora maggiorenne (ndr, solo dal 6 marzo 1975 la quota fu abbassata) e il lavoro della vita già trovato. Originaria di Castelfranco di Sopra, diciottenne, appena diplomata al linguistico di Firenze, venne convinta da un parente di mamma, Giuseppe De Bona, a candidarsi per uno stage di tre mesi all’IVV. La sua intraprendenza non gli valse solo il periodo, ma addirittura la permanenza; e per di più nell’ufficio di presidenza con Sirio Sarchi e la fedele Marisa. Qualche corso per migliorarsi lo fece, ma come per Sirio Sarchi, iniziò una vita da autodidatta, sicura sulle cose imparate con la pratica, sempre alla ricerca di una nuova e diversa nozione o competenza utile all’ufficio.

Conosceva l’inglese, il francese e il tedesco, e già aveva iniziato a frequentare il Partito, il Pci; aveva una gran voglia di vivere e la faccia tosta, nel senso buono, per crearsi spazi che, giovane e donna, altrimenti gli sarebbero stati preclusi. A casa il babbo faceva il fornaio e l’amore per un’ideologia gliel’aveva data lui: i clienti democristiani, con lui, spesso precisavano che volevano “il pane di Iddio non quello del diavolo”. Aveva cominciato presto a prestare militanza: diligente a scuola, partecipava a ogni sciopero e ogni altra manifestazione sociale, ma non prese mai, o quasi, la tessera: “Condividevo la giustezza di ogni battaglia, ma non da dentro l’apparato, sentivo la necessità di fare le cose a modo mio”.

Poi sulla politica prevalse la devozione per il lavoro. E un po’ anche la famiglia. Convolò a nozze negli anni ’70 con Francesco Tatini, che divenne affermato commercialista. “Frequentavo allora il TicTac che Francesco che era di Rignano riteneva troppo da giovani e dove veniva raramente. Però quella sera c’era uno spettacolo con il mago e lui fece eccezione. Poco dopo decidemmo di rivederci e non ci siamo più lasciati; così nacquero Francesca e Alessandro, ed ora la mia nipotina Alessia che ha cinque anni”.

Quando tutto cominciò si lavorava diladdarno, nel primo stabilimento; all’IVV l’alluvione non aveva provocato danni ingenti, ma ben presto nacque la voglia di cose nuove, una nuova fabbrica per tutti… “In ufficio facevamo di tutto, paghe, lettere, fatture. Per me furono cose che mi piacquero da subito e sono divenute la mia vita. Il Sarchi mi faceva soggezione: era anche il sindaco, ma ci lavoravo bene. E dopo un po’ la cooperativa decise di darsi più organizzazione e come responsabile amministrativo arrivò Paolacci, un ragazzo davvero molto intelligente”.

Altra scoperta rilevante per la formazione di Vanna fu la scoperta dei concetti che reggono il mondo della cooperazione: la mutualità, lo spirito cooperativistico, le decisioni prese con un solo voto per singola testa, le porte aperte… “Era un mondo ideale e fatto di ideali. Ho sempre creduto nella cooperativa e nei soci. Non è un mito ma davvero un mondo ideale e finché le cose vanno bene ti senti davvero una persona privilegiata. Non è così quando le cose vanno peggio e i rapporti si incrinano. Non tutti allora mantengono l’ideale, ma non era cosa di quegli anni. Crescevamo di continuo e le cose positive sono andate avanti per anni”.

E cresceva anche Vanna… “Piano piano mi creai degli spazi all’interno dell’ufficio di amministrazione. Facevo tesoro di contatti e relazioni, ero un tipo pignolo che voleva che le cose fossero sempre chiare, cominciai a intrattenere rapporti con le banche, ogni tanto qualcuno mi consigliava di andare a fare la calza, ma io restavo della mia, non me ne fregava nulla di certa gente e soprattutto non volevo che nel lavoro si nascondesse nulla”.

Si arriva al ’77, Sarchi maturò l’età di pensionarsi e apprezzava l’idea di far largo ai giovani. Il suo naturale sostituto apparve allora a tutti Paolacci… “Non tutto andò bene e non accettavo l’imposizione di redigere i consuntivi aziendali come voleva il nuovo presidente, anziché sulla realtà. Cominciarono i malumori e alla fine decidemmo con la Marisa di andare da Sarchi. Lei lo convinse dell’importanza di tornare”.

Fu una sorta di nuovo inizio, Sarchi aveva qualche idea troppo presto accantonata e la riprese in mano. L’idea era quella di creare un bacino, cioè una sorta di dosatore del materiale incandescente che standardizzava la creazione di un prodotto, riducendo la necessità di manualità. “Con quel congegno abbiamo invaso il mondo di sottopiatti e abbiamo realizzato davvero una fortuna economica per l’IVV. Non so bene, ora, perché non decollarono anche piatto e scodella, ma con i sottopiatti, di tutti i colori vennero abbassati i tempi morti della produzione, ridotte le manualità al crogiuolo e incontrato il favore della grande clientela”.

Con questa idea realizzata l’IVV attraversò la distanza che differenziava l’impresa artigiana da quella industriale, conservando tuttavia molte caratteristiche della prima. I forni non si spegnevano mai, i turni di lavorazione erano continui sulle 24H e sulla settimana e un assillo della direzione era di poter contare sempre su manodopera specializzata di ricambio rispetto a quella che andava a pensionarsi. “Non era facile trovare apprendisti. Quantunque fosse un lavoro pagato bene, richiedeva turni pesanti e i ragazzi nuovi dovevano mostrare anche di avere capacità manuali. Molti di loro restavano anche a fine turno per sbizzarrirsi con la creazione di fiorellini e altre decorazioni che incontravano il favore dei clienti. E provammo anche ad andare oltre facendo venire vetrai da Venezia e andammo a vedere lavorazioni simili in Finlandia. Tutto questo prometteva, come fu, di mantenerci al top. Il nostro non è mai stato vetro dozzinale, ma oggettistica capace di sfoggiare anche nelle liste nozze o nei regali particolari”.

Uscito di nuovo il Sarchi, tornò Paolacci. Pur avendo fatto il suo ingresso nel CdA Vanna si sentì un po’ messa da parte. Ci regala oggi solo un pensiero generico sul fatto che quando nelle cooperative viene meno la democraticità di base, poi le cose non vanno bene… “Quello che va compreso è che in una cooperativa chi desidera avere vantaggi aggiuntivi, finisce per sottrarli a tutti gli altri. O si va avanti insieme o prevale l’ingordigia e non è un bene. Io ero un tipo pignolo, forse anche di carattere un po’ aggressivo, e vedevo che le cose non stavano andando senza che una ragione chiara arrivasse a spiegare. Un gatto che si mordeva la coda”.

Fu dunque uno stato di malumore generalizzato che nel ’92 determinò una nuova presidenza all’IVV, quella di Dino Guidelli, che portò Vanna alla carica di direttore amministrativo. L’immediata decisione fu di limitare alla sola azienda gli investimenti e da allora per quattordici anni consecutivi l’azienda fece utili e portò a circa 160 soci il suo personale. Questo rese l’Ivv anche un’azienda di tipo tradizionale con persone che davano il meglio in orario di lavoro e poi magari guardavano altrove per le proprie soddisfazioni personali.

Seguendo il pensiero di Vanna sembra quasi che il benessere probabilmente rese molto a proprio agio i soci-dipendenti, ma cancellò momenti precedenti in cui l’ansia era comune e collettiva, le disquisizioni sull’andamento dei grafici di produzione giornaliere e quant’altro. Il vetro prodotto dall’IVV stava sui mercati di tutto il mondo e molte collezioni furono il risultato di collaborazioni con importanti designer. Di tutto questo, che dipendeva anche dal lavoro infaticabile di Vanna, non c’è rimpianto… “Restare fino alle 9 di sera in azienda non era un così grave peso. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto convinta che fosse per il bene dell’Azienda. Talvolta mi hanno emarginato, ma mai mi è mancata la forza di far sentire la mia opinione”.

Quando l’età pensionabile di Vanna è ormai raggiunta, primi anni del XXI secolo, la congiuntura mondiale ha cominciato a far male, Cina e Turchia adottavano una concorrenza sleale, tuttavia il ridimensionamento previsionale richiesto dagli apicali non fu approvato dall’assemblea dei soci e l’IVV procedette a rinnovare tutti gli organi direzionali. “Io chiaramente questa scelta non la potevo condividere e siccome la mia pensione era interamente maturata e alcuni passaggi avrei comunque dovuto accettarli, preferii farmi da parte”.

Vanna dice anche che una nuova stella stava maturando in IVV, riferendosi all’attuale presidente Simone Carresi e decise di passare a lui il testimone – “Lo meritava, era giusto che andassi…” -. Poco dopo arrivò l’offerta di Legacoop per impegnarsi con successo in una nuova cooperativa lontana dal suo Valdarno. Quindi finiamo per chiudere l’intervista con un flash sul momento attuale dell’IVV, un lucido settantennio da festeggiare e il prospettato spegnimento dei forni per un caroenergia che altre regioni hanno affrontato in maniera più efficace della Toscana: “Il mio consiglio è che tutti gli attuali soci siano consapevoli delle decisioni che vengono e saranno prese. Alcune ci vogliono nei tempi giusti e lasciare che siano solo i vertici a sostenerle non è bene in una società come la nostra. Le battaglie e i sacrifici quando servono devono esser fatti e lo dico con la consapevolezza di aver fatto un bel po’ di tutto ciò. L’Azienda può ancora risollevarsi e spero di cuore che lo faccia”.

 

A cura di Duccio Rugani

Legacoop Pari Opportunità
contro la violenza di Genere